È definito “il custode delle forme…”. Le sue sculture, legate al loro statico ruolo, soffrono e si entusiasmano, si compiacciono e si mostrano presuntuose ed umili, serve di una splendida idea. “Il suo scolpire con maestria, avviene tra l’immaginario e il reale, in una dimensione spazio-temporale in cui a prevalere è la solitudine, l’assoluta adimensionalità di un laboratorio cosparso di arnesi, colori, pungenti odori e polvere, quella polvere, da cui si origina l’arte, è il luogo dove la magia si rinnova e il nichilismo della materia si riempie di significati, fino a divenire opera viva, espressione, tacita di quel custode e urlante di quella anima, che sfiori quando la tua emozione estatica, ti trascina in un percorso a ritroso nei meandri del sé, quando cioè ti avvicini o torni allo stato di grazia che s’identifica nella… felicità”. Non vi è luogo o materia che non possa divenire arte, sembra essere l’istinto basale che muove l’artista a creare continuamente; nonostante una vita dai tratti scossi dalla normalità, Mariano Goglia riesce a ritagliare per sé il tempo di una idea che magnificamente si trasforma e si realizza. I materiali sono tanto vari e ricercati: ferro, legno, marmo, pietra, terracotta, tufo, vetro, tutto diviene modellabile; la sua propensione verso la natura e l’attaccamento alla terra trascinano il suo pensiero e l’osservazione; uno scorcio panoramico, ogni anonimo muro, può accogliere, ed essere, al tempo stesso, scultura.
Il testo è tratto dalla biografia dedicata all’Artista da Lucietta Cilenti.