Tour Virtuale 360°
Il Chiostro, attiguo alla chiesa di S. Sofia, ancora oggi ammantato dal suo secolare mistico silenzio, è quello nel 1119 ricostruito. L’influenza araba, evidente negli archi a ferro di cavallo e nel frammenti di decorazioni pittoriche, si contrappone al clima delle sculture romaniche dei pulvini e dei capitelli. Dragoni, serpenti, sirene, inquietanti figure di mostri, rendono l’atmosfera del complesso enigmatica nella sua interpretazione allegorica. Le quindici quadrifore e l’unica trifora, creano effetti suggestivi. L’armonia delle parti, la ritmica successione degli archi, la varietà del modellato, fanno di questo spazio un luogo di intenso fascino. Le sculture dei capitelli e dei pulvini che ornano le quarantasette colonne non sono di facile interpretazione. Comunque nelle figurazioni scultoree vi è tutta la concezione della Vita vista con una sensibilità tutta medioevale.
Bizzarri grovigli marmorei, figure sacre, personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento, scene di caccia e di combattimenti, mitici eroi (Sansone che atterra il leone) e la plastica rappresentazione dei mesi, danno al repertorio narrativo un tono vario e differenziato nello stile e nella comunicazione artistica delle immagini. Interessanti sono le sculture che rappresentano quattro draghi cavalcati da quattro figure nude, il pulvino con gli ippogrifi, la cavalcata degli elefanti con sulla groppa cavalieri che, con le chiome sparse e mantelli svolazzanti, sembrano sfidare il vento, le sculture delle storie evangeliche e quelle riguardanti i mesi dell’anno. Il messaggio che dalle figure doveva essere trasferito alla coscienza dell’uomo medioevale, conserva intatta tutta la sua valenza iconografica e la sua forza espressiva anche per l’uomo moderno.
Lo spazio annesso a S. Sofia apparteneva inizialmente al convento di cui era badessa la sorella di Arechi II, Gariperga o Guniberga. Dopo varie donazioni, e grazie anche alla numerosa presenza di monaci e di intellettuali di raro valore, il convento cercò di ottenere l’indipendenza dal monastero di Montecassino, da cui dipendeva fin dal tempo di Arechi II. A Benevento questo tipo di arte ebbe caratteristiche tutte originali e legate al gusto e alle tecniche delle scuole locali, che si differenziarono da quelle lombarde, toscane e di altre regioni italiane. Il chiostro sofiano, per i suoi giochi di luce e di ombre, per la fattura degli archi e delle colonne e per gli elementi decorativi, presenta un specificità tutta propria. Infatti, esso è, probabilmente, uno dei pochi di quell’epoca ad avere l’arco a ferro di cavallo decorato con motivi pittorici di scuola araba. “L’arco a ferro di cavallo fu di moda a Costantinopoli e nel resto dell’Impero greco, di qui passò di mano nelle città d’Italia collegate con quest’Impero, o per rapporto di commercio, o per dipendenza diretta”. Il particolarismo del Ducato beneventano spesso fece volgere lo sguardo interessato verso il mondo orientale e il “vento” dell’arte greca, alimentati i gusti e influenzando la cultura dei Longobardi del Sud. Il cortile non è quadrato per la rientranza dell’angolo sud. In un lato di questa rientranza vi è l’unica trifora del chiostro. Le colonnine di marmo di vario tipo, alcune anche di granito rosso scuro, che sorreggono gli archi sono tutte cilindriche tranne due, di cui una a doppio serpentino ed una seconda normale di tipo gemina ofitica, cioè a serpenti intrecciati. La pietra calcarea dei capitelli proviene certamente dal territorio beneventano.