Dea della vita, Iside incarnava il principio vitale. Apportatrice di prosperità, fu considerata dea della luna. I riti notturni ne esaltavano il fascino misterioso. Divinità magica, si riteneva mandare sogni e visioni, benessere e malefici. Governava in cielo, in mare e nell’Averno. Lustrazioni e solenni processioni, accompagnate dal tinnire di sistri, riti segreti, carichi di misterioso fascino, eccitavano la sensualità dei partecipanti.
A Benevento, nel Museo del Sannio, è custodito un frammento della nave su cui presumibilmente poggiava il simulacro di Iside detta Pelagia. Il giorno cinque del mese di marzo di ogni anno, quando la stagione primaverile bussava alle porte col respiro del leggero zefiro e l’azzurro mare invitava a riprendere la navigazione, Iside Pelagia era portata solennemente su una nave perché favorisse i commerci marittimi.
Iside, sorella e sposa di Osiride, ridà a questi la vita dopo averne recuperato il cadavere, disperso in quattordici località dell’antico Egitto da Seth, il fratello assassino, invidioso delle qualità positive di Osiride. Una volta resuscitato lo sposo, Iside concepisce il figlio Horus, rappresentato in più sculture beneventane in forma di falco. Penetrano così dal misterioso Egitto nel tessuto religioso di Benevento il culto della Vipera, del Canòpo, vaso mistico contenente gli aspidi (nell’uso comune dell’antico Egitto era un’urna cineraria che presentava un coperchio raffigurante una testa umana e le anse in forma di braccia. Era detto così perché proveniva dalla città di Canòpo nel Basso Egitto), il culto dei serpenti, i riti misterici, impregnati di formule magiche e di ossequio alle pratiche di incantesimi.
Falchi, tori del dio Api, sacerdoti e sacerdotesse e le altre divinità del corteggio della “Dea della Luna” oggi fanno buona guardia alla memoria egizia della città nel Museo del Sannio, dove anche Domiziano “Signore dei Diademi vivente in eterno”, è rappresentato in veste di Faraone con copricapo egizio. Altre statue nel museo, rappresentano due Sacerdotesse oranti inginocchiate, raro esempio di supplici genuflesse.